Giogio Gaber - La mia Vita

5.10.12 Unknown 0 Comments



Il tutto è falso


Questo mondo 

corre come un aeroplano 
e mi appare 
più sfumato e più lontano. 
Per fermarlo 
tiro un sasso controvento 
ma è già qui che mi rimbalza 
pochi metri accanto. 

Questo è un mondo 
che ti logora di dentro 
ma non vedo 
come fare ad essere contro. 
Non mi arrendo 
ma per essere sincero 
io non trovo proprio niente 
che assomigli al vero. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 
Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

E allora siamo un po' preoccupati 
per i nostri figli 
ci spaventano i loro silenzi 
i nostri sbagli. 
L'importante è insegnare quei valori 
che sembrano perduti 
con il rischio di creare nuovi disperati. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

Non a caso la nostra coscienza 
ci sembra inadeguata 
quest'assalto di tecnologia 
ci ha sconvolto la vita. 
Forse un uomo che allena la mente 
sarebbe già pronto 
ma a guardarlo di dentro 
è rimasto all'ottocento. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

Io 
che non riesco più a giudicare 
non so neanche che cosa dire 
della mia solitudine. 
Guardo 
con il mio telecomando 
e mi trovo in mezzo al mondo 
e alla sua ambiguità. 

C'è qualcuno che pensa 
di affrontare qualsiasi male 
con la forza innovatrice 
di uno Stato liberale. 
Che il mercato risolva da solo 
tutte le miserie 
e che le multinazionali siano necessarie. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

Ma noi siamo talmente toccati 
da chi sta soffrendo 
ci fa orrore la fame, la guerra 
le ingiustizie del mondo. 
Com'è bello occuparsi dei dolori 
di tanta, tanta gente 
dal momento che in fondo 
non ce ne frega niente. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

Io 
che non riesco più a ritrovare 
qualche cosa per farmi uscire 
dalla mia solitudine. 
Cerco 
di afferrare un po' il presente 
ma se tolgo ciò che è falso 
non resta più niente. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto quello che si sente 
quello che si dice 
il falso è un'illusione che ci piace 
il falso è quello che credono tutti 
è il racconto mascherato dei fatti 
il falso è misterioso 
e assai più oscuro 
se è mescolato 
insieme a un po' di vero 
il falso è un trucco 
un trucco stupendo 
per non farci capire 
questo nostro mondo 
questo strano mondo 
questo assurdo mondo 
in cui tutto è falso 
il falso è tutto. 

Il tutto è falso 
il falso è tutto 

Il tutto è falso 
il falso è tutto 

Il tutto è falso 
il falso è tutto, tutto, tutto.   

        

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Johnny Welch - La Marionetta

24.7.12 Unknown 2 Comments


LA MARIONETTA

Se per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di stracci e mi regalasse un tozzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, però, in definitiva penserei comunque tutto ciò che dico.

Darei valore a
lle cose, non per ciò che valgono, ma per ciò che significano.

Dormirei poco, farei correre di più la voce, capisco ora che per ogni minuto in cui chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.

Proseguirei dove gli altri si fermano, mi alzerei quando gli altri dormono. Ascolterei quando gli altri parlano, e come gusterei un buon gelato di cioccolato.

Se Dio mi ossequiasse di un tozzo di vita, vestirei semplicemente, mi butterei sotto il sole, lasciando scoperto non solo il mio corpo ma anche la mia anima. 

Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e attenderei che sparisca il sole.

Disegnerei con un sogno di Van Gogh sulle stelle un poema di Benedetti, ed una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.

Bagnerei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine, ed il rosso bacio dei loro petali ...

Dio mio, se io avessi un tozzo di vita .... non lascerei passare nemmeno un istante senza dire alla gente che amo, che l'amo.

Convincerei ogni donna o uomo che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell'amore.

Agli uomini dimostrerei quanto si sbagliano: smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi.

A un bimbo darei ali, però lascerei che da solo impari a volare. Ai vecchi insegnerei loro che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con l'oblio.

Tante cose ho imparato da voi uomini ...

Ho imparato che tutto il mondo vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità stà nel modo di scalare la scarpata.

Ho imparato che quando un bimbo appena nato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo coglie per sempre.

Ho imparato che un uomo solo ha il diritto a guardare ad un altro verso il basso, quando deve aiutarlo a sollevarsi.

Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, però alla fine non serviranno a molto, perché quando guarderete dentro questo zaino, sfortunatamente starò morendo. 

 
Johnny Welch


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Paolo Borsellino e l'inestimabile eredità morale e culturale

19.7.12 Unknown 0 Comments

La "rivoluzione" si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita è più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara, più affilata di un coltello.
Paolo Borsellino


Omaggio alla memoria di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta: Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'Eredità nelle parole e nell'operato di Paolo Borsellino, uomo esemplare di sani principi morali, di rettitudine e di riservatezza.

"Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell'aldilà. Ma l'importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento... Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno."


Lettera di Agnese Borsellino... 

 

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Richard Bach - Il gabbiano Jonathan Livingston

17.7.12 Unknown 0 Comments


E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose. Non è quella che si insegue a vent'anni, quando come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi. La felicità non è quella che affannosamente si insegnacredendo che l'amore sia tutto o niente, non è quella delle emozioni forti che fanno il "botto"o che esplodono fuori con tuoni spettacolari..., la felicità non è quella di grattacieli da scalare,di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova. Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose...... e impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone,  le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina,la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o il tuo cane per sentire una felicità lieve. Impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno e che sederti a leggere un  all'ombra di albero rilassa e libera i pensieri. Impari che l'amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco,di presenze vicine anche se lontane, impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore, e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia,scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e la distanza ed essere con chi ami. E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccoli attimi felici. E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi. E impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità. E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami... E impari che c'è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia. E impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c'è nel cuore un piccolo-grande Jonathan LivingstonE impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.
Richard Bach

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Alda Merini - Il mio passato \ Emily Dickinson - Il passato

16.7.12 Unknown 2 Comments

Leaving the Past - Deep Sad Piano Orchestral Beat   


Il mio passato
Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che e’ passato
e’ come se non ci fosse mai stato.
Il passato e’ un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato e’ solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho gia’ visto
non conta piu’ niente.
Il passato ed il futuro
non sono realta’ ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacche’ non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.
Alda Merini



Il Passato

E' una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.
Se qualcuno l'incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!
Emily Dickinson

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Yiruma - River Flows in You \ Pablo Neruda - Il tuo sorriso

16.7.12 Unknown 0 Comments

Musica e Poesia si incontrano e subito diventa magia......


Yiruma - River Flows in You
IL TUO SORRISO  (Pablo Neruda)
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

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Giovanni Bomoll - World Evolution

15.7.12 Unknown 0 Comments

Giovanni Bomoll pianista bolognese scoperto così per caso su you tube. 

World Evolution un brano accompagnato da immagini molto significative ed emozionanti......


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Sant Agostino - La morte non è niente

14.7.12 Unknown 0 Comments



La morte non è niente. 
Sono solamente passato dall'altra parte: 

è come fossi nascosto nella stanza accanto. 
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. 
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; 
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. 
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. 
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, 
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano 
quando eravamo insieme. 

Prega, sorridi, pensami! 
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: 
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. 
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: 
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza. 
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? 
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo. 

Rassicurati, va tutto bene. 
Ritroverai il mio cuore, 
ne ritroverai la tenerezza purificata. 
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: 
il tuo sorriso è la mia pace. 


Sant Agostino

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Poets of the Fall - Carnival of Rust

11.6.12 Unknown 0 Comments

I Poets of the Fall, in acronimo POTF, una rock band finlandese fondata nel 2003 a Helsinki. La band è composta dal cantante e chitarrista Marko Saaresto , dal chitarrista Olli Tukiainen e dal tastierista Markus Kaarlonen. Dal 2010 sono entrati a far parte del gruppo in pianta stabile anche il chitarrista Jaska Makinen, il batterista Jari Salminen e il bassista Jani Snellman.


Carnival of Rust
D' you breath the name of your saviour in your hour of need, n' taste the blame if the flavor should remind you of greed, Of implication, insinuation and ill will, till' you cannot lie still, In all this turmoil, before red cape and foil closing in for a kill Come feed the rain Cos I'm thirsty for your love dancing underneath the skies of lust Yeah feed the rain Cos without your love my life ain't nothing but this carnival of rust It's all a game, avoiding failure, when true colors will bleed All in the name of misbehavior and the things we don't need I lust for after no disaster can touch us anymore And more than ever, I hope to never fall, where enough is not the same it was before Come feed the rain... Don't walk away, don't walk away, oh, when the world is burning Don't walk away, don't walk away, oh, when the heart is yearning          

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John Butler Trio - Revolution

7.6.12 Unknown 0 Comments













































Revolution


So tell me family now what do you think ?
Watch it all go down the great big sink
Watch how the scum it rises to the top
Don't you wonder when it's all gonna stop ?
Sometimes I wonder how we do sleep, serving the dodgy companies we keep
All kicking and scrounging for the very first place - dictionary definition of a rat race
Pay off those losers we elect to lead, stealing from the mouths that we're meant to feed
Enslaving the very clothes upon my back, I feel the sting but I hear no crack, no crack, I'm saying

Running through the fire,
Running through the flame,
Running through the hatred,
Pushing though the blame
Running through the hopelessness and shame
Revolution already underway

Big heavy pirates man digging those holes, messing with something that they can't control
Trespassing lands where they don't belong, all I hear is screaming where there once were songs
I got my brothers there fighting those wars, fighting over scraps ans scraping their sores
Under a blanket of a fire and pride that can't keep us warm for the cold inside, inside, I'm saying

Running through the fire,
Running through the flame,
Running through the hatred,
Pushing though the blame
Running through the hopelessness and shame

Revolution already underway

So tell me when you think we're gonna rise ?
Wake from this slumber wipe the tears from our eyes ?
Yes from this nightmare yes I must now wake, open my fist my destiny I take !
Good people sick and tired of being pushed around, we call them kings but I see no crown
Tell me when you think we'll just stand up ?
Say enough is enough is enough, enough, I'm saying

Running through the fire,
Running through the flame,
Running through the hatred,
Pushing though the blame
Running through the hopelessness and shame
Revolution already underway

Take back your feet
Take back your hands
Take back your words
Take back your lands
Take back your heart
Take back your pride
Don't got to run, Don't got to hide
Revolution !


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Matchbox Twenty - Push

6.6.12 Unknown 1 Comments




She said I don't know if I've ever been good enough
I'm a little bit rusty, and I think my head is caving in
And I don't know if I've ever been really loved
By a hand that's touched me, and I feel like something's gonna give
And I'm a little bit angry, well

This ain't over, no not here, not while I still need you
Around
You don't owe me, we might change
Yeah, yeah we just might feel good

I wanna push you around, well I will, well I will
I wanna push you down, well I will, well I will
I wanna take you for granted
I wanna take you for granted
Yeah I will, I will

Well I will

She said I don't know why you ever would lie to me
Like I'm a little untrusting, when I think that the truth is
Gonna hurt ya
And I don't why you couldn't just stay with me
You couldn't stand to be near me
When my face don't seem to want to shine, 'cause it's a little bit dirty well

Don't just stand there, say nice things to me
I've been cheated I've been wronged, and you
You don't know me, yeah well I can't change
well I won't do anything at all

Oh but don't bowl me over
Just wait a minute well it kinda fell apart, things get so
Crazy, crazy
Don't rush this baby
Don't rush this baby, baby

I wanna push you around, well I will, well I will
I wanna push you down, well I will, well I will
I wanna take you for granted
Yeah, yeah, yeah
I wanna take you, take you
Yeah I will, I will
And I will, I will, I will
And I will, I will, I will
Yeah,
Push you around
Yeah you down
I wanna push you around
Yeah I will.

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Luigi Pirandello - Ciaula scopre la luna

5.6.12 Unknown 0 Comments




I picconieri, quella sera, volevano smettere di lavorare senz'aver finito d'estrarre le tante casse di zolfo che bisognavano il giorno appresso a caricar la calcara. Cacciagallina, il soprastante, s'affierò contr'essi, con la rivoltella in pugno, davanti la buca della Cace, per impedire che ne uscissero.

- Corpo di... sangue di... indietro tutti, giù tutti di nuovo alle cave, a buttar sangue fino all'alba, o faccio fuoco!
- Bum! - fece uno dal fondo della buca. - Bum! - echeggiarono parecchi altri; e con risa e bestemmie e urli di scherno fecero impeto, e chi dando una gomitata, chi una spallata, passarono tutti, meno uno.
Chi? Zi' Scarda, si sa, quel povero cieco d'un occhio, sul quale Cacciagallina poteva fare bene il gradasso. 
Gesù, che spavento! Gli si scagliò addosso, che neanche un leone; lo agguantò per il petto e, quasi avesse in pugno anche gli altri, gli urlò in faccia, scrollandolo furiosamente:
- Indietro tutti, vi dico, canaglia! Giù tutti alle cave, o faccio un macello!
Zi' Scarda si lasciò scrollare pacificamente.
 Doveva pur prendersi uno sfogo, quel povero galantuomo, ed era naturale se lo prendesse su lui che, vecchio com'era, poteva offrirglielo senza ribellarsi. 
Del resto, aveva anche lui, a sua volta, sotto di sé qualcuno più debole, sul quale rifarsi più tardi: Ciàula, il suo caruso.
Quegli altri... eccoli là, s'allontanavano giù per la stradetta che conduceva a Comitini; ridevano e gridavano:
- Ecco, sì! tienti forte codesto, Cacciagallì! Te lo riempirà lui il calcherone per domani!
- Gioventù! sospirò con uno squallido sorriso d'indulgenza zi' Scarda a Cacciagallina.
E, ancora agguantato per il petto, piegò la testa da un lato, stiracchiò verso il lato opposto il labbro inferiore, e rimase così per un pezzo, come in attesa.
Era una smorfia a Cacciagallina? o si burlava della gioventù di quei compagni là?
Veramente, tra gli aspetti di quei luoghi, strideva quella loro allegria, quella velleità di baldanza giovanile.
 Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d'erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai.
Ma no: zi' Scarda, fisso in quel suo strano atteggiamento, non si burlava di loro, né faceva una smorfia a Cacciagallina. Quello era il versaccio solito, con cui, non senza stento, si deduceva pian piano in bocca la grossa lagrima, che di tratto in tratto gli colava dall'altro occhio, da quello buono.
Aveva preso gusto a quel saporino di sale, e non se ne lasciava scappar via neppur una.
Poco: una goccia, di tanto in tanto; ma buttato dalla mattina alla sera laggiù, duecento e più metri sottoterra, col piccone in mano, a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto, zi' Scarda aveva sempre la bocca arsa: e quella lagrima, per la sua bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di rapè.
Un gusto e un riposo.
Quando si sentiva l'occhio pieno, posava per un poco il piccone e, guardando la rossa fiammella fumosa, della lanterna confitta nella roccia, che alluciava nella tenebra dell'antro infernale qualche scaglietta di zolfo qua e là, o l'acciajo del paolo o della piccozza, piegava la testa da un lato, stiracchiava il labbro inferiore e stava ad aspettar che la lagrima gli colasse giù, lenta, per il solco scavato dalle precedenti.
Gli altri, chi il vizio del fumo, chi quello del vino; lui aveva il vizio della sua lagrima.
Era del sacco lacrimale malato e non di pianto, quella lagrima; ma si era bevute anche quelle di pianto, zi' Scarda, quando, quattr'anni addietro, gli era morto l'unico figliolo, per lo scoppio d'una mina, lasciandogli sette orfanelli e la nuora da mantenere. Tuttora gliene veniva giù qualcuna più salata delle altre; ed egli la riconosceva subito: scoteva il capo, allora, e mormorava un nome:
- Calicchio.
In considerazione di Calicchio morto, e anche dell'occhio perduto per lo scoppio della stessa mina, lo tenevano ancora lì a lavorare. Lavorava più e meglio di un gio­vane; ma ogni sabato sera, la paga gli era data, e per dir la verità lui stesso se la prendeva, come una carità che gli facessero: tanto che, intascandola, diceva sottovoce, quasi con vergogna:
- Dio gliene renda merito.
Perché, di regola, doveva presumersi che uno della sua età non poteva più lavorar bene.

Quando Cacciagallina alla fine lo lasciò per correre dietro agli altri e indurre con le buone maniere qualcuno a far nottata, zi' Scarda lo pregò di mandare almeno a casa uno di quelli che ritornavano al paese, ad avvertire che egli rimaneva alla zolfara e che perciò non lo aspettassero e non stessero in pensiero per lui; poi si volse attorno a chiamare il suo caruso, che aveva più di trent'anni (e poteva averne anche sette o settanta, scemo com'era); e lo chiamò col verso con cui si chiamava le cornacchie ammaestrate:
- Tè, pà! tè, pà!
Ciàula stava a rivestirsi per ritornare al paese.
Rivestirsi per Ciàula significava togliersi prima di tutto la camicia, o quella che un tempo era stata forse una camicia: l'unico indumento che, per modo di dire, lo coprisse durante il lavoro. Toltasi la camicia, indossava sul torace nudo, in cui si poteva­no contare a una a una tutte le costole, un panciotto bello largo e lungo, avuto in elemosina, che doveva essere stato un tempo elegantissimo e sopraffino (ora il luridume vi aveva fatto una tal roccia, che a posarlo per terra stava ritto). Con somma cura Ciàula ne affibbiava i sei bottoni, tre dei quali ciondolavano, e poi se lo mirava addosso, passandoci sopra le mani, perché veramente ancora lo stimava superiore a' suoi meriti: una galanteria. Le gambe nude, misere e sbilenche, durante quell'ammirazione, gli si accapponavano, illividite dal freddo. Se qualcuno dei compagni gli dava uno spintone e gli allungava un calcio, gridandogli: - Quanto sei bello! - egli apriva fino alle orecchie ad ansa la bocca sdentata a un riso di soddisfazione, poi infilava i calzoni, che avevano più d'una finestra aperta sulle natiche e sui ginocchi: s'avvolgeva in un cappottello d'albagio tutto rappezzato, e, scalzo, imitando meravigliosamente a ogni passo il verso della cornacchia - cràh! cràh! - (per cui lo avevano soprannominato Ciàula), s'avviava al paese.
- Cràh! cràh! - rispose anche quella sera al richiamo del suo padrone; e gli si pre­sentò tutto nudo, con la sola galanteria di quel panciotto debitamente abbottonato.
- Va', va' a rispogliarti, - gli disse zi' Scarda. - Rimettiti il sacco e la camicia. Oggi per noi il Signore fa notte.
Ciàula non fiatò; restò un pezzo a guardarlo a bocca aperta, con occhi da ebete; poi si poggiò le mani sulle reni e, raggrinzando in su il naso, per lo spasimo, si stirò e disse:
- Gna bonu! (Va bene).
E andò a levarsi il panciotto.
Se non fosse stato per la stanchezza e per il bisogno del sonno, lavorare anche di notte non sarebbe stato niente, perché laggiù, tanto, era sempre notte lo stesso. Ma questo, per zi' Scarda.
Per Ciàula, no. Ciàula, con la lumierina a olio nella rimboccatura del sacco su la fronte, e schiacciata la nuca sotto il carico, andava su e giù per la lubrica scala sotterranea, erta, a scalini rotti, e su, su, affievolendo a mano a mano, con fiato mozzo, quel suo crocchiare a ogni scalino, quasi un gemito di strozzato, rivedeva a ogni salita la luce del sole. Dapprima ne rimaneva abbagliato; poi col respiro che traeva nel liberarsi del carico, gli aspetti noti delle cose circostanti gli balzavano davanti; restava, an­cora ansimante, a guardarli un poco e, senza che n'avesse chiara coscienza, se ne sentiva confortare.
Cosa strana: della tenebra fangosa delle profonde caverne, ove dietro ogni svolto stava in agguato la morte, Ciàula non aveva paura, né paura delle ombre mostruose, che qualche lanterna suscitava a sbalzi lungo le gallerie, né del subito guizzare di qualche riflesso rossastro qua e là in una pozza, in uno stagno d'acqua sulfurea: sapeva sempre dov'era; toccava con la mano in cerca di sostegno le viscere della montagna: e ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno.
Aveva paura, invece, del bujo vano della notte.
Conosceva quello del giorno, laggiù, intramezzato da sospiri di luce, di là dall'imbuto della scala, per cui saliva tante volte al giorno, con quel suo specioso arrangolio di cornacchia strozzata. Ma il bujo della notte non lo conosceva.
Ogni sera, terminato il lavoro, ritornava al paese con zi' Scarda; e là, appena finito d'ingozzare i resti della minestra, si buttava a dormire sul saccone di paglia per terra, come un cane; e invano i ragazzi, quei sette nipoti orfani del suo padrone, lo pesta­vano per tenerlo desto e ridere della sua sciocchezza; cadeva subito in un sonno di piombo, dal quale, ogni mattina, alla punta dell'alba, soleva riscuoterlo un noto piede.
La paura che egli aveva del bujo della notte gli proveniva da quella volta che il figlio di zi' Scarda, già suo padrone, aveva avuto il ventre e il petto squarciato dallo scoppio della mina, e zi' Scarda stesso era stato preso in un occhio.
Giù nei varii posti a zolfo, si stava per levar mano, essendo già sera, quando s'era sentito il rimbombo tremendo di quella mina scoppiata. Tutti i picconieri e i carusi erano accorsi sul luogo dello scoppio; egli solo, Ciàula, atterrito, era scappato a ripa­rarsi in un antro noto soltanto a lui.
Nella furia di cacciarsi là, gli s'era infranta contro la roccia la lumierina di terracotta, e quando alla fine, dopo un tempo che non aveva potuto calcolare, era uscito dall'antro nel silenzio delle caverne tenebrose e deserte, aveva stentato a trovare a tentoni la galleria che lo conducesse alla scala; ma pure non aveva avuto paura. La paura lo aveva assalito, invece, nell'uscir dalla buca nella notte nera, vana.
S'era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità, ove un brulichio infinito di stelle fitte, piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce.
Il bujo, ove doveva essere lume, la solitudine delle cose che restavan lì con un loro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile, quando più nessuno le vedeva, gli avevano messo in tale subbuglio l'anima smarrita, che Ciàula s'era all'improvviso lanciato in una corsa pazza, come se qualcuno lo avesse inseguito.

Ora, ritornato giù nella buca con zi' Scarda, mentre stava ad aspettare che il carico fosse pronto, egli sentiva a mano a mano crescersi lo sgomento per quel bujo che avrebbe trovato, sbucando dalla zolfara. E più per quello, che per questo delle gallerie e della scala, rigovernava attentamente la lumierina di terracotta. 
Giungevano da lontano gli stridori e i tonfi cadenzati della pompa, che non posava mai, né giorno né notte. E nella cadenza di quegli stridori e di quei tonfi s'intercalava il ruglio sordo di zi' Scarda, come se il vecchio si facesse ajutare a muovere le braccia dalla forza della macchina lontana.
Alla fine il carico fu pronto, e zi' Scarda ajutò Ciàula a disporlo e rammontarlo sul sacco attorto dietro la nuca.
A mano a mano che zi' Scarda caricava, Ciàula sentiva piegarsi, sotto, le gambe. Una, a un certo punto, prese a tremargli convulsamente così forte che, temendo di non più reggere al peso, con quel tremitìo, Ciàula gridò:
- Basta! basta!
- Che basta, carogna! - gli rispose zi' Scarda.
E seguitò a caricare.
Per un momento la paura del bujo della notte fu vinta dalla costernazione che, così caricato, e con la stanchezza che si sentiva addosso, forse non avrebbe potuto arrampicarsi fin lassù. Aveva lavorato senza pietà tutto il giorno. Non aveva mai pensato Ciàula che si potesse aver pietà del suo corpo, e non ci pensava neppur ora; ma sentiva che, proprio, non ne poteva più.
Si mosse sotto il carico enorme, che richiedeva anche uno sforzo d'equilibrio. Sì, ecco, sì, poteva muoversi, almeno finché andava in piano. Ma come sollevar quel peso, quando sarebbe cominciata la salita?
Per fortuna, quando la salita cominciò, Ciàula fu ripreso dalla paura del bujo della notte, a cui tra poco si sarebbe affacciato.
Attraversando le gallerie, quella sera, non gli era venuto il solito verso della cor­nacchia, ma un gemito raschiato, protratto. Ora, su per la scala, anche questo gemito gli venne meno, arrestato dallo sgomento del silenzio nero che avrebbe trovato nella impalpabile vacuità di fuori.
La scala era così erta, che Ciàula, con la testa protesa e schiacciata sotto il carico, pervenuto all'ultima svoltata, per quanto spingesse gli occhi a guardare in su, non poteva veder la buca che vaneggiava in alto.
Curvo, quasi toccando con la fronte lo scalino che gli stava di sopra, e su la cui lubricità la lumierina vacillante rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su, su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una deliziosa chiarità d'argento.
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato.
Possibile?
Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

 da Novelle per un anno, vol. I, Mondadori, Milano 1956

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William Shakespeare - Sonetto XXIV

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William Shakespeare

Sonetto XXIV




Il mio occhio s'è fatto pittore ed ha tracciato

L'immagine tua bella sul quadro del mio cuore;
il mio corpo è cornice in cui è racchiusa,
Prospettica, eccellente arte pittorica,
Ché attraverso il pittore devi vederne l'arte
Per trovar dove sia la tua autentica immagine dipinta,
Custodita nella bottega del mio seno,
Che ha gli occhi tuoi per vetri alle finestre.
Vedi ora come gli occhi si aiutino a vicenda:
I miei hanno tracciato la tua figura e i tuoi
Son finestre al mio seno, per cui il Sole
Gode affacciarsi ad ammirare te.
Però all'arte dell'occhio manca la miglior grazia:
Ritrae quello che vede, ma non conosce il cuore 


Rob Hefferan

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